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Una storia sociale delle salse – Parte I

Una storia sociale delle salse (2013) – Parte I

 

Lecteurs honnêtes et délicats, ayez le courage de m’écouter,
je parle pour vous corrompre et non pour vous instruire!

 

Si fanno salamoie con i frammenti della vita corrente
in attesa di fare la storia.

Bernard Rosenthal.

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Queste pagine ripercorreranno un programma gustativo antico di secoli come se fosse un progetto narrativo del quale le salse rappresentano la favola concettuale.  Una favola in cui si realizza il progressivo scivolare del sapore verso il valore mercantile, della fisiologia del gusto verso il simbolico, dal fondo del quale questi – come sintomo – riemerge carico di conseguenze e rappezzato in una prospettiva narrativa quanto irreale.

Qui va inteso come la salsa in sé, disegnata come una sostanza, rappresenta a giusto titolo una perfetta metafora di ciò che la natura non offre, punto di trapasso dal gusto – come percezione – al gusto coltivato, che lo statuto di prodotto culturale s’incarica di elevare a merce, cioè a feticcio.

 

Prima di leggere queste pagine sui condimenti il lettore dovrebbe domandarsi: abbiamo il diritto di uccidere e cucinare gli animali?  Abbiamo il diritto d’infliggere sofferenze e morte a degli esseri viventi per il nostro piacere gustativo e senza che la nostra sopravvivenza sia in gioco? 

Senza necessariamente essere dei “filozoofi”molti scenari geopolitici sulla fame potrebbero cambiare con questa semplice assunzione di responsabilità.  Dentro un tale paradigma la salsa è un congegno che attenua il carattere di morte che promuove dalle carogne animali fatte a pezzi.  È come la neve nelle favole, una dolce coltre, ma senza innocenza(°).  Sta forse nell’appannare il destino delle salse?     

Per la spavalderia nietzschiana se uno è pronto per la dieta vegetariana lo è anche per la macedonia socialista, che sia questo il problema?   

Il cristianesimo abolì i sacrifici animali, ma l’astensione dal consumo di carne – se mossa da compassione verso gli animali – fu considerata con sospetto perché era condivisa da diversi movimenti in odore di eresia, come i manichei, i catari, gli albigesi o i bogomili di Bulgaria.  Un sospetto che si tinge nel Medioevo dei colori del vaudeville quando si smascheravano gli eretici invitandoli ad uccidere una gallina o si scomunicavano gli ippofagi che sottraevano il cavallo alle guerre di movimento e d’assalto.    

 

(°) – La denegazione è un modo per prendere coscienza del rimosso, la sua importanza sta nel fatto che ci guida alla sua accettazione, cioè all’atto fondatore di una credenza dentro la quale l’oggetto rimosso può essere invocato sotto forma di un feticcio, sia per scongiurare il rischio costituito dal riconoscere la sua vera natura, che per conservare le illusioni che sorreggono i meccanismi stessi della credenza.

 

J’y ai trouvé un pays avec trente-deux religions mais une seule sauce. 

Secondo Alexandre Dumas lo avrebbe affermato Charles Maurice de Talleyrand di ritorno dal suo esilio americano.  Vista la reputazione di bandito di questo vescovo cattolico e quella affabulatoria di Dumas l’osservazione potrebbe essere inventata, ma anche se lo fosse è verosimile.

In cucina la salsa è un liquido o un semiliquido servito o utilizzato per completare la composizione di una ricetta alimentare.  Tecnicamente è un composto la cui cottura è indipendente da questa.  Lo scopo di una salsa è di valorizzare la preparazione che accompagna.  Si distingue dal sugo(°) che ha principalmente altri scopi, come quello di aggiungere sapore o umidità.  Le salse, soprattutto quelle confezionate industrialmente, sono oggi presenti nella stragrande maggioranza delle cucine del mondo.  L’etimo di salsa è salsus, salato.  Per secoli la base di quasi tutte le salse è stato il roux che aveva la funzione di condensarle per evitare la loro “ruscellazione” e soprattutto di elogiare la

 

(°) – L’espressione sugo (sucus) deriva dalla variante latina di succus e, alla lontana, da suggere.  In senso stretto si chiamano condimenti le “salse” preparate per le insalate.  Una famiglia a parte di “succhi” è rappresentata dai fondi “deglassati” (scrostrati) dalle padelle o dalle casseruole.

loro munificenza esaltata dalla loro agglutinazione.

Quanto al roux(°°) , che le rende sapide e le colora, è costituito semplicemente da farina fritta nel burro o in un altro grasso rigirata in modo che non formi dei grumi.

 

(°°) – Roux alla lettera significa rossiccio, altri sinonimi sono rouquin, roussâstre, fauve, rouge, auburn.

 

Dal punto di vista dell’historia le salse sono un racconto e un soggetto che si fanno rappresentazione(°), in questo mordersi la coda si mutano in un apparato che diremmo gustativo se non fosse celibe, nel senso che non ubbidisce ad alcuna necessità funzionale, né ad alcuna logica prestabilita che non sia quella arbitraria della ricetta.  In breve, le salse parlano a coloro che le sanno assaggiare.

 

(°) – Se ne esaltiamo il carattere “funzionale” le salse non si progettano, s’inventano.  Tentare di progettarle è un sotterfugio che ricorda quello di colui che disegna bersagli intorno a dei proiettili sparati a caso.

 

In una prospettiva grammatologica una salsa può essere intesa come una trasmissione di norme, modelli, ricorsi.  A differenza dell’erotismo, che ha avuto una dimensione sovversiva, gli atti alimentari hanno solo sfiorato la sensualità, prima con le brode ristoratrici(°), poi con le salse e gli intingoli, infine con le illusioni colate dall’idealismo afrodisiaco.  Per altri versi come sosteneva Jean-Paul Sartre i condimenti fanno orrore a coloro che non sono interessati all’atto sessuale propriamente detto, con buona pace di Simone de Beauvoir, come raccontavano le cameriere al piano dell’hotel La Louisiane di Parigi.

 

(°) – Sono le prime brode a base di cereali selvatici e non le idee che hanno ridotto nel neolitico l’intervallo tra le nascite, in pratica aumentato il tasso di fecondità.

 

In termini genealogici la storia delle salse appare l’esumazione di una serie di precetti eterogenei che migrano da un regime di “sapere” ad un altro seguendo uno schema – gli amici di Michel Foucault direbbero episteme – che regola la rappresentazione del gusto, senza per altro controllarlo visto che non sappiamo spiegarci come si passa dall’uno all’altro.

La rappresentazione in cucina, infatti, va intesa come il luogo dove gli atti alimentari mutano in una sensazione, diventano emozioni che ungono il rasoio del senso.  Ne consegue che le rappresentazioni sono sempre degli strumenti di compensazione.  Da qui il sogno energumeno degli eroi della spettacolo con la pancia piena: Lot copulava con le figlie, i faraoni sposavano le sorelle, il curé di Montaillou considerava il concubinato un modello di preghiera.

 

Nell’erotismo borghese che si installa nel cuore dell’Ottocento dopo il Congresso di Vienna, l’interdizione della chair giustifica il feticismo di giarrettiere, calze e merletti, in una, della lingerie féminine(°).  Più arguta la metamorfosi in viande, come un miraggio che dissimula l’avidità morale costruita su dei fini essenzialmente egoistici e funzionali.  Chair e viande sono l’espressione di un sistema linguistico che la psico-analisi riduce alla lettera(°°), ma che il desiderio muta in un sistema gustativo maschile dove l’effetto tiene il luogo della causa.  In questo senso il ruolo dell’ipocrisia nella cucina delle salse fa del cucinato il buono da pensare di Claude Lévi-Strauss.

Ciò considerato, ci sono degli avantages de la bonne chère sur les femmes?  La domanda è retorica, grugniva Grimod de La Reynière.

 

(°) – Diversamente dal materialismo dei libertini e dal cinismo dei gesuiti, come si arguisce dalla lettura di Thérèse philosophe (1748).  Per Jean-Baptiste Boyer la scelta di Teresa è filosofica e non etica e coinvolge la libertà di decidere tra “l’amour de Dieu et celui du plaisir de la chair”.

(°°) – Scrive Jacques Lacan, “la lettera è il supporto materiale che il discorso concreto prende in prestito dal linguaggio”.

 

Nella forma di una concatenazione di segni e di sostanze la salsa è un’affermazione di procedure sul filo del senso destinata al ricordo o all’oblio.  In questo senso è un’onomastia.

Ne consegue  che le salse, come le stoffe di Gaëtan Gatian de Clérambaut, possono far vibrare di gelidi orgasmi i gourmet(°).  Per la gola giocano sulla tavola lo stesso ruolo che assolve l’orsacchiotto di pezza come sostituto della madre: di oggetto transazionale.  Più esattamente consentono una soggettività del gusto colmando di senso il sapore.

 

(°) – L’abitudine chiama i saziati gourmet, ma l’appetito di questi signori ha sempre irriso lo stile che fa l’uomo.

 

Le salse non sono mai né pudiche né modeste, per questo appaiono estranee alla tradizione giudaico-cristiana e non sono mai entrate nei monasteri, se non dalle porte sul retro, le stesse da cui sono passate per secoli le lupae.

 

Louis Marquis de Cussy (1766-1837) – che secondo Grimod de la Reynière ha creato trecentosessantasei ricette per il pollo, una per ogni giorno dell’anno, bisestili compresi – in Les Classiques de la table, uscito postumo nel 1843, scrisse: “Il salsiere è un chimico illuminato, un genio creatore, la pietra angolare di quel monumento che è la cucina trascendentale”.  In altri termini l’ordine del gusto appare come un ordine di sapori che si proietta in una rappresentazione.

Da tempo sappiamo che la dittatura delle salse fa la democrazia del gusto come il loro segreto condisce le forme della politica.  Il marchese de Cussy, sull’entusiasmo va oltre, ne fa un vero e proprio monumento della trascendenza.  Resta il non detto della loro funzione sociale, conciliare l’opulenza, che spetta al passato, qualunque esso sia, con la lesina che lastrica il presente.

 

Nel secolo di Pericle Archestrato legiferava sulla tavola e i cibi.  Nel tempo di Orazio e Virgilio era Apicio, in quello di Napoleone, Antonin Câreme.  Tutto questo quali complicità nasconde?  Non si fonda forse la politica sul regale consiglio ricevuto dall’arcivescovo di Malines quando si sedette al tavolo della pace di Amiens?  “Surtout, monsieur, tenez bonne table et soignez les femmes”.

 

Ha scritto Livio Cerini di Castegnate – che amava le cerulee salse di Piemonte, scure come la réglisse – è indiscutibile che siano frutto di un anelito filosofico.  Una convinzione che deriva da due considerazioni: non sono un condimento naturale e rappresentano un’idea astratta di sapori compositi.

Nel complesso una tesi che in qualche modo si concilia con un’ipotesi funzionale sull’origine delle salse.  La dobbiamo a Raymond Dumay, scrittore e geniale storico della tavola. Dumay le colloca in riva al mare là dove nasce il sapore ciprigno di Venere e la scoperta da parte dell’uomo del neolitico degli effetti dell’acqua salata con il putrido del pescato: il primo bouillon della storia cucinaria dell’uomo.  Queste salse si possono dunque collocare prima della scoperta delle brode di cereali tostati e schiacciati con macine di fortuna.  In altri termini sarebbe stato il pescato e i suoi avanzi abbandonati dalle tempeste o dall’uomo sulla battigia che portò all’invenzione della salsa madre primordiale che molti secoli dopo i romani chiamarono garum e gli asiatici nuoc-mâm.

Una salsa che nella sua composizione di base, grazie al sole, il terzo indispensabile elemento per la sua preparazione, ritroviamo un po’ dappertutto sulle coste mediterranee ed atlantiche dell’antichità e che le navi fenice, in seguito, con il loro commercio di spezie consentirono di diversificare per sapore ed aspetto.

In questo quadro le salse più antiche sono quelle dell’area dell’aringa e poi della sardina, del merluzzo, dei pesci di roccia, tutti pesci d’acqua salata con la quale si generavano le salamoie spontanee e s’integrava il sale necessario all’alimentazione.

Qui, ancora una volta dobbiamo fare i conti con le nostre illusioni mitografiche, il paradiso terrestre lungi dall’essere un giardino era un luogo di macerazioni, fermentazioni, putrefazioni e forse il serpente sublimava la celebrazione dell’anguilla, come ci dicono i siti in prossimità degli stagni, su cui un giorno sorgeranno le più belle città del mondo, da Parigi a Venezia.

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Una storia sociale delle salse – Parte I
Una storia sociale delle salse – Parte II
Una storia sociale delle salse – Parte III
Una storia sociale delle salse – Parte IV
Una storia sociale delle salse – Parte V
Una storia sociale delle salse – Parte VI
Una storia sociale delle salse – Parte VII
Una storia sociale delle salse – Parte VIII
Una storia sociale delle salse – Parte IX

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